Il restauro del mobile

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Disasseblaggio - parte 2°

 

Nello smontare un mobile, molto smesso ci si rende conto che i danni maggiori derivano da precedenti restauri non correttamente eseguiti o addirittura da interventi fatti da persone totalmente prive delle necessaria competenze.

In particolare, seri danni possono essere stati provocati dall'uso di collanti non adatti (Bostik e adesivi similari, silicone etc) e dall'utilizzo improprio di chiodi, conficcati nel vano tentativo di tenere unite parti che si erano scollate o in sostituzione di viti o cavicchi.

Quest'ultima pratica, mai sufficientemente deprecata, causa dei danni, sia nel momento in cui i chiodi vengono piantati nel legno, sia successivamente, quando si dovranno smontare i singoli pezzi, ragion per cui, prima di procedere nello smontaggio, onde limitare i danni, tali chiodi andranno individuati e tolti.

Si farà, inoltre, attenzione alla presenza di viti e cavicchi che, anche essi, possono essere più o meno nascosti.

Si dovranno inoltre esaminare attentamente quale siano i giunti, le unioni o gli attacchi che tengono uniti i vari pezzi.

Infatti, se questi vengono forzati nella maniera sbagliata o nel verso errato, possono rompersi.

Esamineremo in dettaglio tali problemi, passando in rassegna, tra l'altro, i giunti e le unioni più comuni.

 

 

 

 

    

Rimuovere la colla

 

Generalmente, quando si decide di smontare un mobile nelle sue componenti, lo si fa perché queste sono scollate.

Può accadere però, che la scollatura sia solo parziale, oppure che vi sia la necessità di distaccare anche parti incollate per poter incollare quelle scollate.

Le colle animali "a caldo" vengono disciolte dall'acqua calda, e dal vapore ma è possibile, utilizzando dell'alcool, ottenere lo stesso risultato a freddo, seppure in un tempo maggiore. Anche per le colle viniliche è possibile utilizzare dell'acqua calda o dell'alcool ma il risultato è meno immediato.

Per rimuovere il Bostik e adesivi similari il diluente nitro mostra una certa efficacia.

Per inserirsi negli interstizi presenti tra le superfici da scollare, risultano molto utili delle spatole.

A tal fine, anche 1'utilizzo di comuni siringhe può rivelarsi di una certa utilità, soprattutto se si vuole iniettare il liquido direttamente all'interno di una cavità, ad esempio in un canale o in una mortasa.

 

 

Tipi di giunzioni

(la direzione delle frecce indica il verso o i versi in cui è possibile forzare i pezzi per separarli)

 

  1. Unioni di assi

     

Il tipo di giunzione più semplice consiste nell'incollatura di due assi lungo la venatura (fig. 1).

Veniva comunemente usata per fare piani di tavoli e credenze, cannelli, pianetti, carcasse di mobili, etc.

Benché non sia molto resistente, e infatti, sovente, i mobili così assemblati giungono al restauratore in tutto o in parte scollati, risulta, tuttavia, estremamente comune in quanto facile da realizzare.

Gli ebanisti per aumentare la coesione delle giunzioni hanno sempre cercato di incrementare la superficie di contatto delle incollature.

Le unioni a battuta, (fig. 2)utilizzate generalmente per unire pannelli e tavole di piccolo spessore, sono un esempio di ciò.

Laddove lo spessore lo consenta, le unioni a dente e canale, (fig. 3) e con linguetta sono ancora più resistenti, (fig. 4).

Meno comuni e meno resistenti risultano le unioni di assi con perni e cavicchi, (fig 5).

Le unioni a filo piano con coda di rondine doppia (fig. 6) si rinvengono soprattutto in mobili già restaurati, in genere per dare maggiore resistenza a unioni di costa o per fermare delle fenditure del legno.

Le unioni a filo piano con traversi a coda di rondine (fig. 7 e 8) oltre a garantire una buona resistenza delle giunzioni, minimizzano l'imbarcamento delle tavole.

Molto più comune è l'unione rafforzata con traversi alle testate (fig. 9), in quanto ha il vantaggio di non presentare regoli sporgenti dal piano. Fu spesso utilizzata per fare piani di tavoli.

Una variante di questa, a coda di rondine è visibile in figura 10.

 

  1. Le unioni angolari

 

L'unione angolare a metà spessore o a mezzo e mezzo, sovente rafforzata da cavicchi, (fig. 11) è tipica dell'ebanisteria rinascimentale, mentre 1'unione angolare a 1/3 spessore o a tenone e mortasa, sicuramente più resistente, fu utilizzata ampiamente solo a partire dall'Ottocento (fig. 13).

L'unione angolare con tenone trapezoidale (fig. 14) ne costituisce un miglioramento in fatto di resistenza, in quanto consente lo sfilamento del tenone in una sola direzione.

L'unione angolare con tenone ridotto, (fig. 15) trova impiego laddove si voglia ridurre al minimo 1'indebolimento del montante da cui viene ricavata la mortasa.

Le unioni con ugnatura, unilaterale, (fig. 16) più resistente, o bilaterale, meno resistente, hanno rappresentato la soluzione migliore quando ne era prevista la successiva impiallacciatura con andamento obliquo.

Infatti, quando quest'ultima è stata applicata su altre unioni angolari, i movimenti di assestamento del legno sottostante, ne provocano, lungo la giuntura, crepe decisamente antiestetiche.

 

  1. Le unioni angolari nel senso della larghezza

 

Trattasi delle giunzioni che uniscono, ad esempio, nei cassetti, le sponde ai frontalini e agli schienalini ed in genere  i piani ai loro estremi.

Nel Rinascimento, tale giunzione veniva realizzata semplicemente inchiodando un'asse sullo spessore dell'altra, mentre nel mobile sei-settecentesco, una tavola veniva inchiodata su una battuta sagomata nello spessore dell'altra.

L'unione a coda di rondine, che è ovviamente la più salda, fu invece usata, comunemente, solo a partire dall'Ottocento.

Quella visibile da ambo le parti (fig. 18) veniva generalmente usata per unire le sponde agli schienalini, mentre quella visibile da una sola parte (fig. 19) per unire le sponde ai frontalini.

L'unione a coda di rondine nascosta venne utilizzata, quasi esclusivamente per realizzare cofanetti e sopramobili di lusso.


 

  1. Collegamenti intermedi nel senso della larghezza

     

Trovano impiego laddove vi sia la necessità di rafforzare la struttura  della fiancata di un mobile o quella di un anta tramite una traversa centrale.

L'unione intermedia a 1/3 spessore è sicuramente più comune dell'unione a forcella. (fig. 22 e 23).

L'unione a crociera a sopraffare, (fig. 24) viene utilizzata, principalmente, per realizzare i sostegni dei piani dei tavoli con gambone centrale.

 

 

  1. Attacchi intermedi di piani tra loro perpendicolari

 

Vengono impiegati, soprattutto, per sostenere i pianetti interni (fig. 25 e 26).

Quando sono a coda di rondine, (fig. 27 e 28) possono contribuire a dare stabilità a tutta la struttura del mobile.

 

 

  1. Unioni con biette o cunei
     

La figura 29 mostra un utilizzazione particolare di un cuneo, il quale serve a bloccare la traversa che unisce le due gambe di un tavolo rinascimentale a ciabatta.

Tale sistema cadde in disuso nelle epoche successive, per essere ripreso negli ultimi decenni dell'800 e nei primi del 900 nei mobili in stile "Rinascimento".

I cunei vengono utilizzati anche come elementi di irrobustimento delle unioni a 1/3 spessore.

Infatti, conficcati nel tenone, comprimendone le fibre, ne impediscono lo sfilamento.

 

Fig. 1

 

Fig. 4

 

Fig. 7

 

Fig. 10

 

Fig. 13

 

Fig. 16

 

Fig. 19

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 22

 

Fig. 25

 

Fig. 28

 

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Fig. 2

 

Fig. 5

 

Fig. 8

 

 

Fig. 11

 

Fig. 14

 

 

Fig. 17

 

Fig. 20

 

Fig. 23

 

Fig. 26

 

Fig. 29

 

Fig. 5

 

Fig. 6

 

Fig. 9 

 

Fig. 12

 

Fig. 15

 

Fig. 18

 

Fig. 21

 

Fig. 24

 

Fig. 27

 

Fig. 30

 

 

 

 

 

Togliere i chiodi

 

Spesso, rappresenta un problema estremamente serio, soprattutto quando questi sono stati conficcati in un giunto a tenone e mortasa allentato nel maldestro tentativo di consolidarlo, (fig 31).

Per togliere quelli a testa piatta, si può ricorrere alla cacciachiodi da tappezziere (disassemblaggio parte 1° -   fig. 6), con la quale si solleverà il chiodo quel tanto che "basta per essere afferato con delle tenaglie (fig. 32).

Facendo leva con queste, si avrà cura di interporre un pezzetto di compensato, evitando cosi ammaccare il legno attorno al chiodo.

Nel caso, assai frequente, in cui , testa del chiodo si spezzi, oppure che si tratti di chiodi con una testa così piccola da non essere afferrabili con la cacciachiodi, occorrerà procedere diversamente.

Con una sgorbietta (scalpello semicircolare) si scaverà una fossetta attorno al chiodo, dopo di che si tenterà di afferrarlo con la punta di una tronchesina (fig. 33) e, facendo leva con la stessa, si cercherà di estrarlo.

Se ciò risultasse impossibile, poiché si è spezzato e, comunque fosse troppo duro da togliere, si potrà scavare il legno attorno a1 chiodo con una trivellina, appositamente realizzata, da innestare sul trapano.

Tale attrezzo, si può ricavare a partire da una normale chiave a tubo, ad esempio una 6/7 (fig. 34a).

Per prima cosa, si mola l'esterno dell'estremità 7, modificandone il profilo da esagonale a circolare (fig. 34b), quindi, servendoci di una sega a ferro e di una lima a sezione triangolare, si ricavano dal bordo tre dentini disposti a 60° tra loro (fig. 34c).

Per far ciò, potrebbe essere necessario "stemperare" l'estremità, ovverosia ridurne là durezza mediante riscaldamento seguito da un lento raffreddamento.

A tale scopo è sufficiente una normale bomboletta da "camping gas".

Infine, si procederà a conferire all'utensile un'adeguata durezza, sottoponendolo a "tempra" riscaldandolo a1 "color rosso" e raffreddandolo rapidamente mediante immersione nell' olio o nell'acqua.

L'utilizzo di detta trivella, consente di scavare un foro, di circa 10mm di diametro, attorno a1 chiodo,  rendendone agevole l'estrazione.

Ovviamente, a lavoro ultimato tale foro andrà otturato con un perno dello stesso diametro.

Quali piccole trivelle "usa e getta", possono essere utilizzate le camicie esterne dei tasselli da muro in metallo, che presentano un bordo seghettato, avendo cura di inserire all'interno, dell' estremità da inserire nel mandrino del trapano, un perno metallico che  eviti lo schiacciamento delle stesse. 

Talvolta, piuttosto che provocare ulteriori danni nel tentativo di togliere i chiodi, può essere opportuno troncarli con la lama di una sega a ferro.

Ciò, ovviamente, è possibile solo se tale lama può essere inserita tra i pezzi da separare.

 

Fig. 31

 

Fig. 33

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 32

 

Fig. 34

Tecniche dello smontaggio: Attrezzatura necessaria e utili accorgimenti

 
       

Innanzitutto, sarà utile disporre di coperte o di cartoni su cui appoggiare il mobile, onde evitare graffi e ammaccature inutili.

Procedendo nello smontaggio, può accadere che i singoli pezzi si distacchino e si separino facilmente, ma più smesso occorre esercitare una certa forza, eventualmente dando dei colpi con un mazzuolo di gomma o di legno (fig. 35).

Se si usa un martello, occorre interporre un pezzo di legno onde evitare di ammaccare il mobile.

Possono essere utili anche dei cunei di legno da inserire tra i pezzi da separare, nonché dei vecchi scalpelli e lame di pialle con cui fare leva (fig. 36).

Se il mobile presentasse elementi particolarmente fragili, che potrebbero risentire negativamente dei contraccolpi dovuti allo smontaggio, sarà necessario "ingessarli" come si dice in gergo.

Tale operazione, consiste nell'inserire la parte da protegffere tra, due listelli o tra due tavole, fissate tra loro con degli strettoi (fig. 37).

Quando sono presenti dei cavicchi, (fig. 12), questi andranno preventivamente tolti.

Se sono stati fatti a mano, sarebbe bene estrarli intatti, se possibile, numerarli e rimetterli al loro posto a lavoro ultimato.

Per le unioni angolari con tenone ridotto, (fig. 15), e quelle con tenone trapezoidale, (fig. 14), bisogna tener presente che sono sfi1abili in una sola direzione.

Lo stesso dicasi per tutte le unioni a coda di rondine, (fig. 18,19,20,27 e 28).

In presenza di cunei usati come elementi di irrobustimento, (fig.30), qualora sia impossibile toglierli direttamente, si dovrà estrarre il tenone il più possibile e poi tagliarlo, per qualche millimetro, in corrispondenza della spalla (fig. 38c); quindi, inserendo un cacciavite tra il montante e  la spalla, si provocherà il distacco di di una piccola parte del tenone; ciò consentirà, durante lo sfilamento, di preservarne intatta la restante parte.

Ovviamente, il tutto potrà essere successivamente reincollato.

Fig. 35

 

Fig. 38a

 

 

Fig. 36

 

Fig. 38b

Fig. 37

 

 

 

Fig. 38c

 

 

 

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